Il mio nome è Andrea. E con Lui, con il nome intendo, vado abbastanza d'accordo. Io non so perché mi hanno battezzato così, ma sono grato ai miei genitori che l'hanno fatto. Certo, nella loro bontà, non si sono messi a ragionare sull'interpretazione nome-carattere e nemmeno potevano immaginare che un giorno, proprio perché il mio nome è Andrea, mi sarei rivelato eccentrico e testardo. A dieci mesi - la fotografia che vedete risale al novembre del 1968 - già armeggiavo con le "macchine". Mi incuriosiva ogni cosa che luccicava, che si muoveva, che faceva rumore, come tutti i bambini d'altra parte. A quel tempo riuscivo soltanto a rompere. Più tardi avrei costruito qualcosa, forse. Ma molto più tardi. A scuola i miei maestri, i professori poi, chiamavano spesso a "rapporto" mio padre. Niente di particolare; solo per chiedergli un "semplice" rimborso: qualche vetro rotto, qualche banco rigato, una piccola superficie di muro "disegnata" o alleggerita d'intonaco. I primordi della mia arte si manifestavano così. Non c'era nulla di complicato o di proibito. Però, quando mi licenziai dalle medie e più tardi dalle superiori, notai molti sorrisi, certamente più del solito. E qualche sospiro di sollievo. All'università non durai molto, anche se la Fisica mi appassionava, al punto che restavo sin dopo le lezioni. Ma un giorno certe "reazioni chimiche" e certi "fumi" furono giudicati di troppo. Rimasi deluso degli altri e un po' anche di me stesso. Così mi rifugiai nella mia stanza, al centro di Assisi, e vi rimasi per quasi tutto il giorno. Dalla finestra aperta vedevo la nebbia avanzare lentamente e avvolgere parte della città. Il monastero di Santa Chiara sembrava dovesse rimanerne inghiottito. Invece diventò promontorio nel mare dell'esistere.



Questa immagine che spesso mi è tornata davanti nel corso degli anni, è diventata l'emblema della mia vita. Mi sono dimenticato di dire che amo la mia città e la Fotografia come me stesso. Della prima ne ho fatto un simbolo, nel senso che la considero un frutto maturo di storia e di umanità.




Il suo fascino ha irretito i grandi viaggiatori di ogni tempo, ma anche gli umili viandanti che al suo cospetto hanno assaporato il sapore discreto della meditazione. Elementi che non passarono inosservati nemmeno a Francesco d'Assisi che da qui lanciò il suo messaggio d'amore al mondo intero




Sul Colle del Paradiso, dove ancora oggi, tra nugoli di vapore, si innalza la Basilica Patriarcale, i pellegrini della Terra si incontrano con quello spirito di rinuncia che mosse la santità del Serafico.
Assisi, i boschi di cerri che le vivono accanto, i colli che la guardano estasiati, i prati sommitali del Subasio sono per me un rifugio, per quando mi sento solo e triste. Non sono un poeta, o meglio cerco di esserlo, ma non so scrivere versi. E allora dalla "finestra" della mia macchina fotografica cerco la risposta ai miei perché. Sono diventato fotografo per amore - questo l'ho già detto - e perché credo che questa attività la si possa esercitare solo se si sente dentro. E' un'esplosione di libertà, è nostalgia del passato, è speranza nel futuro, è sogno. Io dico che bisogna lasciare spazio ai sogni perché può capitare che si avverino. E quando questo succede occorre essere preparati... al meglio.



Quando ho scattato l'immagine che vedete ho pensato, appunto, alle cose più belle della vita: aprire gli occhi e trovarsi davanti un tramonto. Un'allegoria di rosa e di arancio sembra accendere il profilo delle colline. E il respiro della terra ascende oltre le nuvole.


Quella stessa terra che nutre l'umanità e che riposa dopo aver dispensato i suoi frutti. Il mio racconto per immagini ha trovato posto, in questi anni, in pubblicazioni specializzate per il turismo e in alcune mostre personali realizzate al "Menache International Art Gallery", di Città del Messico e alla Sala Barna, nella Calle San Eusebio, di Barcellona in Spagna. Il pubblico e la critica mi ha giudicato "avamposto d'Assisi" nelle terre del sole.





Le pietre, i campanili, i rosoni diventano pulsazioni che non hanno bisogno di parole. La Basilica di San Francesco, davanti ad una spianata di neve anticipa la speranza.





Come le gocce d'acqua che si infrangono sulla pietra emettono guizzi a non finire.




Varcare la porta e vedere oltre. Tutto questo è possibile, basta volerlo. Basta sapere apprezzare la grandezza della natura, avere il coraggio di commuoversi davanti ad un ramo fiorito...


Io, Andrea, nervoso, eccentrico e dispersivo, amante del lunedì - e ci si stenta a crederlo -, del colore rosso, che è il sapore della vita. Mi sono fotografato su un tetto di tegole antiche, dopo una breve nevicata. Sono immobile, accucciato, disorientato. Mi guardo attorno. Domani, forse, volerò di nuovo.